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La
mistica come via di ricerca della Verità - Pagine di mistica e spiritualità a cura di
Antonello Lotti
Madre Teresa di Calcutta
Madre Teresa di Calcutta
«La peggiore malattia oggi è il non
sentirsi desiderati né amati, il sentirsi abbandonati. Vi sono molte
persone al mondo che muoiono di fame, ma un numero ancora maggiore muore
per mancanza d’amore. Ognuno ha bisogno di amore. Ognuno deve sapere di
essere desiderato, di essere amato, e di essere importante per Dio. Vi è
fame d’amore, e vi è fame di Dio.»
Si
possono leggere, fra i molti testi pubblicati, i seguenti:
Teresa di Calcutta, Sii la mia luce,
a cura di Brian Kolodiejchuk mc, Rizzoli, Milano 2008
Teresa di Calcutta, Il cammino
semplice, Mondadori, Milano 2009
Teresa di Calcutta, La gioia di amare.
365 meditazioni quotidiane, Mondadori, Milano 2009
Teresa di Calcutta, Tu mi porti
l'amore. Scritti spirituali, Città Nuova Editrice, Roma 1984
Teresa di Calcutta, La gioia di darsi
agli altri, San Paolo Edizioni, 2003
Kathryn Spink, Madre Teresa. Una vita
straordinaria, Piemme, Milano 2007
Renato Farina, Madre Teresa. La notte
della fede, Piemme, Milano 2009
Pedro Sánchez Arriba, Madre Teresa di
Calcutta. L'evangelo di una santa. Illuminando la "notte oscura",
Gribaudi, 2008
Marco
Vannini, Storia della mistica occidentale, Mondadori,
Milano 1999
La
biografia è tratta (adattata e modificata opportunamente) principalmente
dal seguente sito:
http://www.vatican.va/news_services/liturgy/saints/ns_lit_doc_20031019_madre-teresa_it.html
Madre Teresa di Calcutta (al secolo Gonxha Agnes Bojaxhiu) nasce il
26 agosto 1910 a Skopje (nell’attuale Macedonia) come ultima
dei cinque figli di Nikola e Drane Bojaxhiu, una famiglia benestante
di origine albanese. La bambina è minuta. Nel 1918, dopo la morte
improvvisa del padre, proprietario di una drogheria, la famiglia si
trova subito in difficoltà economica. La madre Drane si assume la
responsabilità della gestione della casa e dei figli, che alleva con
amore, ma anche con fermezza.
A cinque anni e mezzo riceve la sua Prima Comunione e sembra che da
quel momento ha inizio la sua vocazione, con un grande amore per gli
altri. La sua formazione religiosa viene influenzata, oltre che
dalla madre, dalla parrocchia del Sacro Cuore in cui era impegnata
in modo molto attivo. Lì frequenta il Sodalizio, un gruppo di
preghiera e aiuto per le missioni ed incontra dei padri gesuiti che
avevano lavorato nella lontana Calcutta, una città del Bengala.
L’esperienza dei missionari la colpisce profondamente, al punto che
a diciotto anni, verso la fine del dicembre 1928, lascia la sua casa
per entrare nell’Istituto della Beata Vergine Maria, conosciuto come
“le Suore di Loreto”, in Irlanda. Lì riceve il nome di suor Mary
Teresa, ispirandosi a Santa Teresa di Lisieux. Parte per l’India,
arrivando a Calcutta il 6 gennaio 1929. Dopo la Professione dei voti
temporanei nel maggio 1931, Suor Teresa viene mandata presso la
comunità di Loreto a Entally ad insegnare nella scuola per ragazze,
St. Mary.
Il 24 maggio 1937 suor Teresa fa la Professione dei voti perpetui,
divenendo, come lei stessa disse: “la sposa di Gesù” per
“tutta l’eternità”. Da quel giorno si è sempre chiamata Madre
Teresa. Oltre il muro alto del convento c’è il misero quartiere Moti
Jheel, con i suoi tuguri e vicoli pieni di fango. Dalla finestra
della sua camera Teresa vede lo squallore di bimbi nudi e sporchi,
vecchi sofferenti e moribondi, gente affamata e senza casa. Calcutta
è dunque una città a due facce. Inoltre, risente, dal 1939 dell’eco
della grande guerra che sconvolge l’Europa, ma in realtà si estende
a tutto il mondo. I poveri diventano sempre più poveri.
Continua comunque ad insegnare a St. Mary e nel 1944 diviene anche
la direttrice della scuola. Persona di profonda preghiera e di amore
intenso per le consorelle e per le sue allieve, Madre Teresa
trascorre i venti anni della sua vita a “Loreto” con felicità, ma
con il pensiero di quella folla di affamati, storpi, ciechi e
lebbrosi che popolano i marciapiedi di Calcutta.
Il 10 settembre 1946, durante il viaggio notturno in treno da
Calcutta a Darjeeling per il ritiro annuale, Madre Teresa riceve la
cosiddetta “ispirazione”, quella che verrà definita da lei
stessa successivamente la “chiamata nella chiamata”. Quel
giorno, richiamandosi anche al passo evangelico (Gv 19,28)
“dopo questo, Gesù, sapendo che ogni cosa era già compiuta, affinché
si adempisse la Scrittura (Sal 69,21), disse: «Ho sete»”,
avverte sempre più forte la sete d’amore di Gesù per le anime.
Questa frase “ho sete” si impossessa del suo cuore e il desiderio
ardente di saziare la sete di Cristo diviene il motivo essenziale
della sua vita. Lei racconta così: «Fu una chiamata in seno alla mia
vocazione, una seconda chiamata. Fu una vocazione a lasciare Loreto,
dov’ero molto felice, e andare nelle strade per servire i più poveri
tra i poveri. Fu in quel treno che sentii la chiamata a rinunciare a
tutto e a seguirLo nei bassifondi, per servirLo nei più poveri tra i
poveri… Sapevo che quella era la Sua volontà e che dovevo seguirLo.
Non c’era dubbio che quella sarebbe stata la Sua opera. […] “Ho
sete” disse Gesù sulla Croce, quando Lui era privato di ogni
consolazione, morendo in assoluta povertà, lasciato solo,
disprezzato e spezzato in corpo e in anima. Egli parlava della Sua
sete, non di acqua, ma di amore, di sacrificio».
Nel corso delle settimane e dei mesi successivi, per mezzo di
locuzioni e visioni interiori, Gesù le rivela il desiderio del suo
Cuore per “vittime d’amore” che avrebbero “irradiato il
suo amore sulle anime.” ”Vieni, sii la mia luce”, la
prega. “Non posso andare da solo”. Le rivela la sua
sofferenza nel vedere l’incuria verso i poveri, il suo dolore per
non essere conosciuto da loro e il suo ardente desiderio per il loro
amore. Gesù chiese a Madre Teresa di fondare una comunità religiosa,
le Missionarie della Carità, dedite al servizio dei più poveri tra i
poveri. Circa due anni di discernimento e verifiche trascorrono
prima che Madre Teresa ottenga il permesso di cominciare la sua
nuova missione. Il 17 agosto 1948, indossa per la prima volta il
sari bianco bordato d’azzurro (il più povero in assoluto) e
oltrepassa il cancello del convento di “Loreto” per entrare nel
mondo dei poveri.
Dopo un breve corso con le Suore Mediche Missionarie a Patna, Madre
Teresa rientra a Calcutta e trova un alloggio temporaneo presso le
Piccole Sorelle dei Poveri. Il 21 dicembre va per la prima volta nei
sobborghi: visita famiglie, lava le ferite di alcuni bambini, si
prende cura di un uomo anziano che giace ammalato per strada e di
una donna che sta morendo di fame e di tubercolosi. Inizia ogni
giornata con Gesù nell’Eucaristia ed esce con la corona del Rosario
tra le mani, per cercare e servire Lui in coloro che sono “non
voluti, non amati, non curati”. Alcuni mesi più tardi si
uniscono a lei, l’una dopo l’altra, alcune sue ex allieve.
Il 7 ottobre 1950 la nuova Congregazione delle Missionarie della
Carità viene riconosciuta ufficialmente nell’Arcidiocesi di
Calcutta. Oltre ai tre voti usuali di povertà, castità e obbedienza,
Teresa ne aggiunge un quarto, quello di “dedito e gratuito servizio
ai più poveri fra i poveri”. Nel 1954 inaugura la Casa per il
moribondo abbandonato (Nirmal Hriday) dopo una serie di traversie.
Vicino sorgeva già il tempio di Kalighat, dedicato alla dea nera
Kali. Agli inizi del 1960 Madre Teresa inizia ad inviare le sue
sorelle in altre parti dell’India. Il Diritto Pontificio concesso
alla Congregazione dal Papa Paolo VI nel febbraio 1965 la incoraggia
ad aprire una casa di missione in Venezuela. Ad essa seguono subito
altre fondazioni a Roma e in Tanzania e, successivamente, in tutti i
continenti. A cominciare dal 1980 fino al 1990, Madre Teresa apre
case di missione in quasi tutti i paesi comunisti, inclusa l’ex
Unione Sovietica, l’Albania e Cuba.
Per rispondere meglio alle necessità dei poveri, sia fisiche, sia
spirituali, Madre Teresa fonda nel 1963 i Fratelli Missionari
della Carità; nel 1976 il ramo contemplativo delle
sorelle, nel 1979 i Fratelli contemplativi, e nel 1984 i
Padri Missionari della Carità. Tuttavia la sua ispirazione non
si limita soltanto alle vocazioni religiose. Forma i
Collaboratori di Madre Teresa e i Collaboratori Ammalati e
Sofferenti, persone di diverse confessioni di fede e nazionalità
con cui condivise il suo spirito di preghiera, semplicità,
sacrificio ed il suo apostolato di umili opere d’amore. Questo
spirito successivamente porta alla fondazione dei Missionari
della Carità Laici. In risposta alla richiesta di molti
sacerdoti, nel 1991 Madre Teresa dà vita anche al Movimento
Corpus Christi per Sacerdoti come una “piccola via per la
santità” per coloro che desiderano condividere il suo carisma e
spirito.
In questi anni di rapida espansione della sua missione, il mondo
comincia a rivolgere l’attenzione verso Madre Teresa e l’opera che
ha avviato. Numerose onorificenze, tra cui il Premio indiano
Padmashri nel 1962 e il Premio Nobel per la Pace nel 1979, danno
onore e fama mediatica alla sua opera. Tutto riceve, sia i
riconoscimenti sia le attenzioni, “per la gloria di Dio e in nome
dei poveri”.
L’intera vita e l’opera di Madre Teresa offrono testimonianza della
gioia di amare, della grandezza e della dignità di ogni essere
umano, del valore delle piccole cose fatte fedelmente e con amore, e
dell’incomparabile valore dell’amicizia con Dio. Ma vi è un altro
aspetto eroico di questa donna di cui si viene a conoscenza solo
dopo la sua morte. Nascosta agli occhi di tutti, nascosta persino a
coloro che le stanno più vicino, la sua vita interiore è
contrassegnata dall’esperienza di una profonda, dolorosa e
permanente sensazione di essere separata da Dio, addirittura
rifiutata da Lui, assieme a un crescente desiderio di Lui. Chiama la
sua prova interiore: “l’oscurità”. La “dolorosa notte” della
sua anima, che ha inizio intorno al periodo in cui ha cominciato il
suo apostolato con i poveri e perdura tutta la vita, conduce Madre
Teresa a un’unione ancora più profonda con Dio. Attraverso
l’oscurità partecipa in maniera mistica alla sete di Gesù, al suo
desiderio, doloroso e ardente, di amore, e condivide la desolazione
interiore dei poveri.
Durante gli ultimi anni della sua vita, nonostante i crescenti
problemi di salute, Madre Teresa continua a guidare la sua
Congregazione e a rispondere alle necessità dei poveri e della
Chiesa. Nel 1997 le suore di Madre Teresa sono circa 4.000, presenti
nelle 610 case di missione sparse in 123 paesi del mondo. Nel marzo
1997 benedice la neo-eletta nuova Superiora Generale delle
Missionarie della Carità e fa ancora un viaggio all’estero. Dopo
avere incontrato il Papa Giovanni Paolo II per l’ultima volta,
rientra a Calcutta e trascorre le ultime settimane di vita ricevendo
visitatori e istruendo le consorelle. Alle 21,30 del 5 settembre
1997 la vita terrena di Madre Teresa giunge al termine. Riceve
l’onore dei funerali di Stato da parte del Governo indiano e il suo
corpo viene seppellito nella Casa Madre delle Missionarie della
Carità. La sua tomba diviene ben presto luogo di pellegrinaggi e di
preghiera per gente di ogni credo, poveri e ricchi, senza
distinzione alcuna.
Madre Teresa ci lascia un testamento di fede incrollabile, speranza
invincibile e straordinaria carità. La sua risposta alla richiesta
di Gesù: “Vieni, sii la mia luce”, la rende Missionaria della
Carità, “Madre per i poveri”, simbolo di compassione per il mondo e
testimone vivente dell’amore assetato di Dio. Meno di due anni dopo
la sua morte, a causa della diffusa fama di santità e delle grazie
ottenute per sua intercessione, il Papa Giovanni Paolo II permette
l’apertura della Causa di Canonizzazione. Il 20 dicembre 2002
approva i decreti sulle sue virtù eroiche e sui miracoli. Il 19
ottobre 2003 viene proclamata Beata. “Sono albanese di sangue,
indiana di cittadinanza. Per quel che attiene alla mia fede, sono
una suora cattolica. Secondo la mia vocazione, appartengo al mondo.
Ma per quanto riguarda il mio cuore, appartengo interamente al Cuore
di Gesù”. Di conformazione minuta, ma di fede salda quanto la
roccia, a Madre Teresa di Calcutta è stata affidata la missione di
proclamare l’amore assetato di Gesù per l’umanità, specialmente per
i più poveri tra i poveri. “Dio ama ancora il mondo e manda me e
te affinché siamo il suo amore e la sua compassione verso i poveri”.
La sua è un’anima piena della luce di Cristo, infiammata di
amore per Lui e con un solo, ardente desiderio:
“saziare la Sua
sete di amore e per le anime”.
CRITICHE:
Occorre precisare che Madre Teresa non è stata solo acclamata ma
anche accusata, nella sua lunga vita al servizio dei più poveri fra
i poveri. In particolare, Cristopher Hitchens, noto
saggista, ha pubblicato un libro definendo la sua congregazione una
sètta che incoraggia la sofferenza senza aiutare realmente i
bisognosi. Nonostante tutte le offerte cercate e ricevute, l'accusa
è che Madre Teresa non abbia mai costruito un ospedale e che la
realtà del Nirmal Hriday sia ben al di sotto della soglia
minima di igiene e di sicurezza sanitaria. I soldi sono stati
impiegati unicamente per costruire conventi in ogni parte del mondo
o addirittura per la maggior parte depositati in conti svizzeri.
Inoltre, altra fonte di critiche è l'aver accettato offerte da
personaggi di dubbia moralità. Le case di ospitalità sarebbero solo
dei ricoveri per moribondi e non case di cura. Purtroppo è
impossibile stabilire con esattezza, senza conoscere le varie realtà
sparse in tutto il mondo, la verità di queste accuse. D'altronde, in
ogni causa di beatificazione c'è anche la figura dell'avvocato del
diavolo che non è mancato anche in questa occasione. L'aver
riconosciuto virtù eroiche significa che nel conto le critiche, per
quanto vere o verosimili, sono sicuramente inconsistenti rispetto al
bene fatto.
Percorso
spirituale
Scrive Marco Vannini (op.
cit.) che: «Il 13 settembre 1997 il primo ministro indiano conferiva a
Madre Teresa di Calcutta quell'onore dei funerali di stato che era stato
tributato in precedenza a Gandhi. Con ciò si voleva riconoscere nella
suora di origine albanese una delle "grandi anime" (mahātman)
nate dalla madre India, quelle che hanno saputo tradurre nella propria
vita la verità semplicissima e difficilissima dell'unione tra uomo e
Dio nella sintesi di amore e distacco. Attraverso le opere e gli
scritti di Teresa si coglie in effetti il motivo essenziale
dell'annullamento dell'io, centrale nella tradizione mistica indiana non
meno che in quella cristiana, con la conseguente rinuncia ai frutti
dell'azione e la fine di ogni pretesa di merito. Perciò la strada che
conduce alla verità è quella dell'umiltà, con la quale ci si distoglie
dal particolarismo psicologico, ovvero dalle determinazioni che oscurano
l'unità divina. L'esercizio dell'obbedienza e la fine della volontà
conducono alla vera libertà; all'opposto, la schiavitù consiste
nell'asservimento alla volontà propria, cioè all'io e alla sua meschina
autoaffermatività. In questo stesso senso si
riconosce nella sofferenza il mezzo migliore per distruggere tale
affermatività, il cavallo più veloce per giungere alla conoscenza.
L'annullamento dell'io fa emergere l'Essere, che non
è un ente estraneo, ma lo spirito nella sua presente realtà di amore. È
questa realtà che si concreta nell'esercizio della carità,
nell'attenzione al prossimo, nel quale si riconosce il Cristo, la
presenza di Dio qui e ora nel mondo. Così, ancora una volta, si dispiega
la fenomenologia dello spirito. Il distacco da se stessi, il primato
della carità naturalmente fanno pensare a un
Dio-Luce-Amore-Spirito che è tutto e in rapporto con noi, sommamente
reale e personale; anzi, fanno comprendere che propriamente quello
noi siamo, e non il banale e accidentale io psicologico. La gioia
estatica della carità naturalmente fa uscire di sé, ovvero fa
porre un amore assoluto, e in esso ci fa identificare. Allora appaiono
chiare sino in fondo le alienazioni marxiane e freudiane, che pongono
l'essere dell'uomo nei rapporti sociali, subordinano la coscienza alla
vita, pensano l'essenza umana come egoistica, istintuale: esse
descrivono in effetti la regione dell'alienazione, della pesanteur,
di cui parlava Simone Weil, opposta a quella dello spirito. Esso,
propriamente esso, appare allora come la realtà, il paese del reale, la
regione che "solo amore e luce ha per confine"».
Ovviamente, queste parole non si riferiscono
solo all'esempio della vita di Teresa di Calcutta, ma di tutti coloro
che vivono in modo profondo la propria fede, che è un perdersi per
ritrovarsi.
«Se mai diventerò una santa, sarò di sicuro una
santa dell'oscurità. Sarò continuamente assente dal Paradiso per
accendere la luce a coloro che, sulla terra, vivono nell'oscurità».
Scrive Brian Kolodieichuk nel libro cit., che queste
parole costituiscono una sorta di dichiarazione di intenti e forniscono
la chiave di lettura della vita spirituale di Madre Teresa. «Vieni, sii
la mia luce» le aveva detto Gesù, e Madre Teresa cercò di essere quella
luce dell'amore di Dio nell'esistenza di chi viveva nelle tenebre. «Il
prezzo paradossale e del tutto inaspettato di questa sua missione fu,
tuttavia, quello di vivere a sua volta in una "terribile oscurità". In
una lettera destinata a uno dei suoi direttori spirituali scrisse:
Padre, sin dal 1949 o dal 1950 avverto
questo terribile senso di perdita, questa indicibile oscurità,
questa solitudine, questo continuo ardente desiderio di Dio che
mi dà quella sofferenza nel più profondo recesso del mio cuore.
L'oscurità è tale che veramente non riesco a vedere, né con la
mente, né con la ragione. Il posto di Dio nella mia anima è
vuoto: non c'è Dio in me. Quando il dolore causato dallo
struggente desiderio è così intenso, soltanto anelo a Dio, e poi
è questo che io sento: Lui non mi vuole, Lui non è qui. Dio non
mi vuole. A volte sento il mio cuore gridare "Mio Dio", e non
riesco nemmeno a esprimere lo strazio e la sofferenza.
Con l'aiuto dei suoi direttori spirituali giunse
progressivamente a comprendere che quella dolorosa esperienza interiore
costituiva una parte essenziale della sua missione. Era la
condivisione della Passione di Cristo sulla Croce, con particolare
riguardo alla sete di Gesù come mistero del suo ardente desiderio di
amore e di salvezza per ogni essere umano. Riconobbe, in seguito, che la
sua misteriosa sofferenza era l'impronta della Passione di Cristo sulla
sua anima. Stava vivendo il mistero del Calvario: Calvario di Gesù e
Calvario dei poveri. Questa prova fu un aspetto cruciale della sua
vocazione, la parte più esigente della sua missione e l'espressione
suprema del suo amore per Dio e per i Suoi poveri. Oltre a prendersi
cura dei derelitti e degli emarginati della società umana, era disposta
ad abbracciare la loro sofferenza materiale e spirituale, la loro
condizione di essere "non voluti, non amati, non curati": di non avere
nessuno.
Questa intensa e continua agonia spirituale avrebbe
potuto prostrarla, invece Madre Teresa irradiava una gioia, un
amore e un entusiasmo indicibili. Era un'autentica testimone di speranza
e di amore, perché aveva costruito l'edificio della sua vita su una
fede pura».
Breve
Antologia
Come
introduzione a questa breve antologia di brani, riporto quanto scritto
da Madre Teresa in una lettera del 1958:
«Se lei soltanto sapesse cosa si muove nel mio cuore. A volte la
sofferenza è così grande che mi sento come se tutto si spezzerà.
Il sorriso è un grande mantello che copre una moltitudine di
dolori».
Scrive padre Kolodiejchuk, a questo proposito:
«il sorriso che copriva una moltitudine di dolori non era una
maschera ipocrita. Madre Teresa cercava di celare le proprie
sofferenze – perfino a Dio! – perché gli altri, specialmente i
poveri, non ne subissero le conseguenze. Quando promise “qualche
preghiera e qualche sorriso in più” per un’amica, alludeva a un
sacrificio acutamente doloroso e costoso: pregare quando la
preghiera era tanto faticosa e sorridere quando la sua
sofferenza interiore era straziante».
Al di là
dunque di un’iconografia che vede Madre Teresa sempre sorridente e
gioiosa, così come tutta una serie di libri titolati con “sorriso” che
la riguardano, la profondità mistica di questa umile e piccola donna –
ma grande nella sua opera e nel suo vissuto interiore – arriva alla
“notte oscura”, come prova della sua fede e del suo itinerario di
perfezionamento. In verità le rivelazioni del suo intimo, che ormai
molti conoscono dopo la diffusione del libro “Sii la mia luce”,
dimostrano la grandezza e il tormento di questa donna, che la fa
sembrare molto più vicina alla nostra vita. Non si tratta di una santa
(giù in vita), ma di una donna credente, sottoposta a una difficile
opera: seguire la volontà di Dio nonostante il Suo silenzio. Diffido di
quanti vanno sicuri nella loro fede incrollabile finché tutto va bene.
Ma la prima crisi, la prima difficoltà li blocca nel proprio itinerario.
Quante volte siamo presi in questa condizione? Quante difficoltà
dobbiamo attraversare ogni giorno per sostenere la fede in un mistero
che desideriamo conoscere ma che ci appare sempre più lontano man mano
che sembra ci avviciniamo? Credo che l’esperienza di Madre Teresa sia
dunque l’esempio vivente e vicino alla nostra sensibilità di come
affidarci totalmente nell’abbraccio misericordioso e misterioso del
Padre che ci sostiene sempre anche quando non ce ne accorgiamo.
Questa piccola antologia di brani diversi non può rendere ragione della
ricchezza spirituale di Teresa d'Avila. Consiglio pertanto di leggere direttamente le
sue opere, pubblicate in modi diversi (libri singoli, brani scelti) e alla
portata di tutti.
NELL'OSCURITÀ
(Sii la mia luce, pp. 194-196)
Nell’oscurità…
Signore, mio Dio, chi sono io perché Tu mi
abbandoni? La figlia del Tuo amore, e ora diventata come la più odiata,
quella che hai gettato via come non voluta e non amata. Io chiamo, io mi
aggrappo, io voglio... e non c'è nessuno a rispondere, nessuno a cui mi
possa aggrappare, no, nessuno. Sono sola.
L'oscurità è così
fitta e io sono sola, non voluta, abbandonata. La solitudine del cuore
che vuole amore è insopportabile. Dov'è la mia fede? Anche nel profondo,
dentro, non c'è nulla se non vuoto e oscurità. Mio Dio, quanto è
dolorosa questa sofferenza sconosciuta. Fa soffrire senza tregua. Non ho
fede. Non oso pronunciare le parole e i pensieri che si affollano nel
mio cuore e mi fanno soffrire un'indicibile agonia. Così tante domande
ancora senza risposta vivono dentro di me. temo di svelarle, per paura
della bestemmia. Se c'è Dio, per favore mi perdoni, confido che tutto
finirà in cielo con Gesù. Quando cerco di elevare i miei pensieri al
Cielo c'è un vuoto che mi condanna, tanto che quegli stessi pensieri si
ritorcono su di me come lame affilate e feriscono la mia stessa anima.
Amore... Questa parola non suscita nulla. Mi viene detto che Dio mi ama,
e tuttavia la realtà dell'oscurità, del freddo e del vuoto è così grande
che niente tocca la mia anima. prima che l'opera iniziasse c'era così
tanta unione, amore, fede, fiducia, preghiera, sacrificio. Ho fatto un
errore abbandonarmi ciecamente alla chiamata del Sacro Cuore? L'opera
non è in dubbio, perché sono convinta che essa sia Sua e non mia. Non
sento nulla, nemmeno un semplice pensiero né tentazione entra nel mio
cuore per rivendicare qualcosa dell'opera.
Sorridere tutto il
tempo. Le sorelle e le altre persone fanno tali osservazioni... Pensano
che la mia fede, la fiducia e l'amore riempiano tutto il mio essere e
che l'intimità con Dio e l'unione con la Sua volontà assorbano il mio
cuore. Se solo sapessero... e come la mia gioia è il mantello con cui
nascondo il vuoto e la miseria.
Nonostante tutto,
l'oscurità e il
vuoto non sono dolorosi quanto il desiderio di Dio. Temo che la
contraddizione possa turbare il mio equilibrio. Che cosa stai facendo,
mio Dio, a una così piccola? Quando hai chiesto di imprimere la Tua
Passione sul mio cuore, è questa la risposta?
Se ciò Ti porta gloria, se Tu ottieni una goccia di
gioia da questo, se le anime sono portate a Te, se la mia sofferenza
sazia la Tua sete, eccomi, Signore, con gioia accetto tutto fino alla
fine della vita e
sorriderò al Tuo
Volto Nascosto, sempre.
L'ABBANDONO
(Tu mi porti l'amore. Scritti spirituali, pp. 125-126)
L'abbandono totale consiste nel dare
completamente se stessi a Dio, perché Dio ha dato se stesso a noi. Se
Dio non ci deve niente ed è pronto a darci nientedimeno che se stesso,
possiamo noi a nostra volta dargli soltanto una parte di noi? Io do via
il mio "io" e induco in questo modo Dio a vivere per me. Quindi, per
possedere Dio, dobbiamo permettergli di possedere le nostre anime. Come
saremmo poveri, se Dio non ci avesse dato il potere di dare noi stessi a
lui! Come siamo ricchi ora! Com'è facile conquistare Dio! Noi ci diamo a
lui, cosicché Dio èp nostro e non c'è più niente di nostro se non Dio.
La moneta con cui Dio paga il nostro abbandono è lui stesso.
Abbandonarmi significa offrirgli la
mia libera volontà, la mia ragione, la mia stessa vita, in purezza di
fede. La mia anima può essere nell'oscurità. La prova è il più sicuro
test del mio cieco abbandono. L'abbandono è anche vero amore. Più ci
abbandoniamo e più amiamo Dio e le anime, dobbiamo essere pronti a
prendere il loro posto, a prendere i loro peccati su di noi e ad
espiarli. Dobbiamo essere olocausti viventi, perché è così che le anime
hanno bisogno di noi. Non c'è limite all'amore di Dio. È senza misura e
le sue profondità non possono essere sondate.
TIENI SEMPRE PRESENTE
Tieni sempre presente che la pelle fa
le rughe,
Però ciò che è importante non cambia;
Dietro ogni linea di arrivo c’è una
linea di partenza.
Fino a quando sei viva, sentiti viva.
Non lasciare che si arrugginisca il
ferro che c’è in te.
Quando a causa degli anni
I BISOGNI VERI
Se qualche volta la nostra povera
gente è morta di fame, ciò non è avvenuto perché Dio non si è preso cura
di loro, ma perché non siamo stati uno strumento di amore nelle sue mani
per far giungere loro il pane e il vestito necessari, perché non abbiamo
riconosciuto Cristo quando è venuto ancora una volta, miseramente
travestito, nei panni dell’uomo affamato, dell’uomo solo, del bambino
senza casa e alla ricerca di un tetto.
Dio ha identificato se stesso con
l’affamato, l’infermo, l’ignudo, il senzatetto; fame non solo di pane,
ma anche di amore, di cure, di considerazione da parte di qualcuno;
nudità non solo di abiti, ma anche di quella compassione che veramente
pochi sentono per l’individuo anonimo; mancanza di tetto non solo per il
fatto di non possedere un riparo di pietra, bensì per non avere nessuno
da poter chiamare proprio caro.
Quando Cristo ha detto: "Avevo fame e
mi avete dato da mangiare!", non pensava solo alla fame di pane e di
cibo materiale, ma pensava anche alla fame di amore. Anche Gesù ha
sperimentato questa solitudine. Ogni essere umano che si trova in quella
situazione assomiglia a Cristo nella sua solitudine; e quella è la parte
più dura, la fame vera!
AMA LA VITA
Ama la vita così com'è.
Amala quando tutti ti abbandonano,
Amala nella piena felicità,
Amala seppure non ti dà ciò che
potrebbe,
Non vivere mai senza vita!
LA VITA È...
La vita è un'opportunità, coglila.
UNA VOCE AMICA
(Sii la mia luce, pp. 300-301)
Di recente un uomo mi ha incontrata
per strada. Mi ha chiesto: "Sei Madre Teresa?" Io gli ho risposto di sì.
E lui: "Per favore, manda qualcuno a casa mia. Mia moglie ha disturbi
mentali e io sono mezzo cieco. Vorremmo tanto sentire il suono amorevole
di una voce umana". Erano persone agiate. Avevano tutto nella loro casa.
Eppure stavano morendo di solitudine, morendo per il desiderio di
sentire una voce amica. Come facciamo a sapere che qualcuno come loro
non si trovi accanto a casa nostra? Sappiamo chi sono, dove sono?
Troviamoli e, quando li troviamo, amiamoli. Poi, quando li ameremo, li
serviremo. Oggi Dio ama così tanto il mondo da dare te, da dare me,
perché amiamo il mondo, per essere il Suo amore, la Sua comprensione. È
un pensiero talmente bello per noi, e una convinzione: che voi e io
possiamo essere quell'amore e quella compassione.
Sappiamo chi sono i nostri poveri?
Conosciamo i nostri vicini, i poveri della nostra zona? È così facile
per noi parlare e parlare dei poveri di altri luoghi. Molto spesso
abbiamo chi soffre, chi è solo, le persone anziane, non volute,
infelici, ed essere sono vicine a noi, e noi neppure le conosciamo. Non
abbiamo nemmeno il tempo di sorridere loro. Il cancro e la tubercolosi
non sono le malattie più gravi. Penso che una malattia ancor più grande
sia l'essere non voluto, l'essere non amato. Il dolore che provano
queste persone è molto difficile da capire, da penetrare. Penso che sia
ciò che la nostra gente in tutto il mondo sperimenta, in ogni famiglia,
in ogni casa.
Questa sofferenza si ripete in ogni
uomo, donna e bambino. Penso che Cristo stia soffrendo nuovamente la Sua
passione. E sta a voi e a me aiutarli a essere Veronica, essere Simone
per loro. I nostri poveri sono grandi persone, persone molto amabili.
Non hanno bisogno della nostra pietà o compassione. Hanno bisogno del
nostro amore comprensivo e del nostro rispetto. Abbiamo bisogno di dire
ai poveri che loro sono qualcuno per noi, che anche loro sono stati
creati dalla stessa mano amorevole di Dio, per amare ed essere amati.
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cura di Antonello Lotti - Sito web:
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